Idee Vincenti

Una rubrica a cura di Davide Boscacci


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L’Italia di Mancini e il superamento della resilienza

Eccola lì la case history più bella del mese, quella che comunica l’Italia nel mondo. Quella che alza il nostro valore percepito se non anche il PIL, quella che ci rimette al centro della scena internazionale e via dicendo.

Ma attenzione a non esaltarci troppo: la vittoria a Wembley – e la semivittoria di Berrettini a Wimbledon – è un esempio non di quello che siamo ma di quello che potremmo essere. Non è, infatti, la stessa Italia del Covid né quella del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si basa su un modello diverso che, appunto, con il mito della resilienza ha poco a che fare.

La resilienza è la capacità di assorbire un urto, la capacità di un sistema di rigenerarsi dopo aver subito un danno. Osserva Baricco nell’ultimo intervento alla Repubblica delle Idee che il problema è che il risultato è solitamente, nel migliore dei casi, un ritorno al punto di partenza. Per proiettarsi al futuro serve qualcosa di diverso, servono flessibilità e leggerezza.

Il merito di Mancini è quello di aver portato fuori la nazionale dalla logica dell’eroe per traghettarla nella contemporaneità. Non più il titano che soffre, cade e si rialza ma un organismo collettivo formato dall’energia e dal talento dei giovani e dall’esperienza e dalla sensibilità dei vecchi. Si muove in modo armonico ma discontinuo, adattandosi, trovando sempre nuove forme. Sa soffrire ma sa anche divertirsi.

L’Italia di Mancini non è resiliente, è flessibile e leggera. In fondo, sarebbe un eccellente modello anche per le per le agenzie e le aziende italiane tutte.

Davide Boscacci
Consigliere UNA
Executive Creative Director Publicis

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