Il mercato che cambia
Una rubrica a cura del Centro Studi UNA
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Comunicazione e innovazione per aumentare la resilienza al prezzo
I dati Istat relativi alla crescita del reddito disponibile delle famiglie italiane nell’ultimo trimestre 2021 rilasciati a fine marzo, sono già vecchi.
La nuova crisi si chiama inflazione, un trend molto pronunciato secondo Confindustria già a fine 2021, riconducibile alla scarsità di materie prime e ai conseguenti colli di bottiglia su produzione e logistica. Il precipitare della situazione geopolitica ha esacerbato la situazione generando un’esplosione dei costi sul fronte energetico e del grano portando il tasso di inflazione a tre volte le soglie di vigilanza delle banche centrali. L’impatto è trasversale a tutti i settori con un aumento dei costi energetici e delle materie prime giudicato importante per 9 imprese italiane su 10. Le imprese hanno finora in gran parte assorbito l’aumento dei costi nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, contribuendo in tal modo a mantenere relativamente contenuta la core inflation e salvaguardando la competitività delle imprese italiane rispetto a quelle di altri paesi, ma si tratta di una strategia non sostenibile.
La pressione sui margini mette le imprese in sostanziale difficoltà rispetto agli investimenti e sappiamo che la comunicazione tende a rappresentare una delle prime voci di ottimizzazione.
Allo stesso tempo l’aumento dei prezzi e l’incertezza legata alla situazione incidono negativamente sulla fiducia dei consumatori che rivedono le proprie abitudini di acquisto e scelte di consumo (maggiore sensibilità al prezzo e alle promozioni, cicli di acquisto più lunghi, minore sensibilità alle novità e alle sperimentazioni, nuovi canali di acquisto).
Scenari fortemente inflazionistici si sono già manifestati in passato ma i livelli raggiunti a inizio 2022 non si registravano da 40 anni, quando internet ancora non esisteva: da un lato molti consumatori non conoscono l’inflazione, iniziano a rendersi conto di riuscire a ottenere meno dal proprio reddito ma soprattutto in questo momento l’ignoranza genera disconfort e incertezza in uno scenario già provato dalla pandemia.
Dall’altro sono relativamente pochi i manager che hanno mai avuto a che fare con il fenomeno inflazione nel prendere le loro decisioni di business; e per chi ne conservasse il ricordo dagli anni ’70 e ’80 si trova in uno scenario completamente mutato dove la pervasività del digital e la comparabilità dei prezzi da parte degli utenti rende estremamente più interconnesse le strategie di prezzo delle aziende. Allo stesso tempo il digital rappresenta anche un’opportunità per creare valore e sostenere aumenti di prezzo a fronte di maggior praticità, velocità e personalizzazione, come fatto da Chipotle attraverso la sua app per consegnare burrito personalizzati con un 17% di price premium.
L’esplorazione delle potenzialità del digital nel nuovo contesto si aggiunge alle lezioni imparate dall’analisi dei vincitori delle passate ondate inflazionistiche.
Secondo un interessante studio di Ipsos condotto per investigare le leve a disposizione dei brand per risultare meno elastici al prezzo, la differenziazione emerge come significativamente correlata alla resilienza al prezzo: innovazioni o rilanci che offrono benefici distintivi riducono la sostituibilità dei prodotti/servizi e riescono a difendere le vendite a fronte di aumenti di prezzo.
L’altra leva altrettanto robustamente correlata alla resilienza al prezzo secondo il Participation Brand Index e Kantar Brand Z è il brand purpose: i marchi che dimostrano un impegno per la società, l’ambiente, le comunità e il mondo dei loro clienti sono quelli per cui le persone sono disposte a pagare di più. La costruzione del purpose non è una strategia di breve termine ma risulta chiave per proteggere i margini e richiede investimenti continui e di lungo termine. Chi ha fatto il lavoro avrà l’opportunità di far rendere il proprio purpose di più, sintonizzandosi con le necessità più stringenti delle persone in questo momento storico.
Questa nuova fase economica riporta alla ribalta il valore del brand, un valore finanziario perché profondamente legato alla capacità della marca di difendere e comandare il prezzo.
Per tutti quei marchi più focalizzati su strategie di breve periodo e meno propensi fino ad oggi a costruire la marca nel lungo termine lo spazio di manovra sarà minore nei prossimi mesi, ma non nullo.
In uno scenario in cui le persone si sentono più vulnerabili e incerte, innescare una guerra di prezzo erode più velocemente i margini, rieduca i consumatori sulle vere soglie di prezzo della categoria e distrugge valore. I business più efficaci risponderanno non solo rendendosi meno sostituibili ma anche mantenendo la relazione con le persone, attraverso empatia e comprensione. E trasparenza, in caso i prezzi debbano necessariamente essere aumentati.
In questo la comunicazione è chiave: chi in passato sotto la pressione dei margini ha scelto il silenzio si è trovato più debole. Per contro chi ha investito e ha rivisto le proprie strategie per essere vicino alle persone e ai clienti nella difficoltà del momento non solo ha vinto nell’immediato ma ha conservato il suo vantaggio per anni.
Essere empatici e vicini alle persone richiede conoscenza: l’occasione è ripartire dai clienti esistenti per tornare a capire la loro percezione del valore, la loro reazione agli aumenti di prezzo e quali siano i punti più dolenti nel nuovo contesto.
L’inflazione non colpisce tutti nello stesso modo ma crea trasversalmente un numero maggiore di rischi che innescano nuovi comportamenti.
Il ruolo delle marche è ridurre questi rischi per mantenere le persone sul mercato. Ridurre i rischi per le persone significa secondo Kantar focalizzarsi sulle perdite ad essi associati: perdita di comfort, di serenità, di sicurezza, di controllo. Perdite che i consumatori sono pronti a compensare a fronte di un premium price.
La perdita di comfort richiede di far leva sulla grandezza: i dati Kantar mostrano senza ambiguità come in situazioni di incertezza le persone si rivolgano alle marche più familiari perché più rassicuranti. Non tutti i marchi possono essere grandi, ma anche i più piccoli dovrebbero agire ‘grande’ risuonando per competenza, robustezza e stabilità.
La perdita di serenità richiede di fornire benessere mentale: le persone non sono più in grado di tollerare stress e irritazioni, per quanto piccole. I brand devono eliminare attriti e disfunzionalità, focalizzarsi su emozioni costruttive, sostenere l’affermazione di valori e cause positive, mantenere un tono ottimista e supportare la comunità.
La perdita di sicurezza richiede di portare soluzioni in grado di costruire valore, in base alle diverse pratiche di spesa degli individui distinguendo tra chi fatica ad assicurarsi i beni primari, chi rialloca diversamente il proprio budget, chi modificherà i propri piani di risparmio e chi avrà la possibilità di tornare sul mercato dopo esserne stato forzatamente escluso dalla pandemia.
Infine, la perdita di controllo chiama per maggiori garanzie: le persone riducono il rischio raccogliendo maggiori informazioni, in particolare da amici e familiari, o cercando spunti che infondono fiducia piuttosto che supporto.
Capire le persone per investire meglio, ma sicuramente investire. Continuare a investire nella marca ne aumenta la resilienza al prezzo: una ricerca di Analytic Partners mostra una riduzione del 10% dell’elasticità al prezzo per i brand con un forte investimento media. Al contrario una riduzione dell’investimento media durante periodi di inflazione può portare a una sostanziale diminuzione delle vendite di base nel lungo termine: mantenere un dialogo aperto e costruttivo con i nostri clienti è fondamentale per far sì che il concetto di resilienza al prezzo assicurata dall’investimento in comunicazione sia compreso e agito.
Del resto gli esempi dei giganti non mancano: Kimberly-Clark prevede di compensare l’effetto dell’inflazione sui costi attraverso aumenti di prezzo supportati da maggiori investimenti marketing; Unilever ha informato gli azionisti di un aumento dell’investimento pianificato sui piani di brand purpose e Procter & Gamble ha confermato gli investimenti media per l’anno in corso.
Allo stesso tempo è più che legittimo da parte dei clienti chiedere una maggiore efficienza dell’investimento: la riduzione della domanda dei consumatori e prezzi più elevati per gli inserzionisti per raggiungere un pubblico più piccolo porteranno i marketer a rivedere in continuo sia la scelta dei canali che l’efficacia dei messaggi in un’ottica di massimizzazione del ROI ancora più esigente. Saper agire lungo tutto il customer journey e misurare i risultati ad ogni tappa per aggiustare il tiro farà ancor più la differenza.
Marianna Ghirlanda
Presidentessa Centro Studi UNA
Fonti:
Centro Studi Confindustria, Rapporto di previsione sull’economia italiana, Marzo 2022 LEGGILO QUI
Conference Board, Global Economic Outlook 2021, Gennaio 2022
Kantar, Inflation and risk reduction, Marzo 2022 LEGGILO QUI
MarketingWeek, Inflation will separate the strong marketing companies from the weak, Febbraio 2022
Ipsos, Innovation in inflationary times, Marzo 2022 LEGGILO QUI
The Drum, Could rising inflation make marketers ditch brand purpose?, Gennaio 2022