Il mercato che cambia

Una rubrica a cura del Centro Studi UNA


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Nonostante la crisi energetica la luce in fondo al tunnel non è ancora stata spenta

Crisi dopo crisi siamo al terzo anno di stress sistemico: cambia la fonte di stress ma non lo scenario che, come individui e come marketer, siamo chiamati a gestire. L’ultima in ordine di apparizione e la più pervasiva al momento in termini di attenzione mediatica e impatto sulla gestione degli investimenti di ciascuno è l’inflazione, che ha raggiunto i livelli maggiori degli ultimi 30 anni e trova un parterre di professionisti che raramente ha avuto occasione di cimentarsi con scenari analoghi.

Durante una recessione (non ancora ufficiale ma per molti dietro l’angolo), è prevedibile che la già alta attenzione al ROI porti la questione sull’efficienza nel breve termine: il modo più veloce per alzare il rapporto tra ritorni e investimento è tagliare il secondo, ma l’efficacia della comunicazione dovrebbe essere valutata con un approccio più rotondo.

Secondo l’ultimo report di WARC in merito, le marche che hanno ridotto l’investimento media durante l’ultima recessione hanno subito una perdita del 18% in termini di vendite incrementali mentre i brand che hanno aumentato o mantenuto i propri investimenti generando una share of voice superiore alla propria market share hanno visto una crescita del 17%.

Per quanto non immediatamente intuitiva, continuare a investire per proteggere crescita e profitto è l’indicazione che emerge coerentemente da tutti gli studi.

Ma sappiamo bene che non è una decisione evidente per tutti. Se si deve ridurre l’investimento media, è fondamentale utilizzare altre leve per rimanere visibili e costruire mental availability (MA). La MA misura la probabilità che il proprio brand venga in mente, rispetto ai concorrenti, al verificarsi di un’occasione di acquisto. Si tratta di una metrica strettamente correlata al cambiamento delle quote di mercato, sia in positivo che in negativo, ed è ampiamente riconosciuta come indicatore della forza del marchio.

Costruire mental availability significa sfidarsi ad entrare in maggiore sintonia con le persone a cui ci rivolgiamo, conoscerle meglio per essere più precisi nel messaggio e più brillanti nell’identificare le opportunità di maggior risonanza potenziale, anche se minori in numero. Significa riconoscere che le persone si muovono in un continuum lungo il funnel e non per silos, che brand building e sales activation non sono alternativi (Travis Scott meal di Mc Donald’s docet) ma parte dello stesso gioco: costruire domanda futura da un lato e convertirla in acquisti dall’altro.

Significa guadagnare accesso alla memoria delle persone: i brand sono fatti di ricordi cui attingere quando si verifica l’occasione di acquisto. E le ricerche sul cervello umano mostrano che prendiamo decisioni basate sulle emozioni, la maggior parte delle quali non sono coscienti. È qui che la creatività entra in gioco: le persone non dimenticheranno mai come li abbiamo fatti sentire. Il loro sentire guiderà i loro comportamenti, le loro scelte, perché a livello corticale questo è quello che fanno le emozioni: ci incoraggiano a ricercare il benessere generato da una scarica elettrica positiva e a fuggire da quelle negative.

È come vedervi, mentre una ruga vi increspa la fronte: emozioni quando bisogna far tornare i conti perché la stessa quantità di denaro rende molto meno? Come possono prosperare le marche anche in mezzo a necessari aumenti di prezzo?

Nel momento in cui l’inflazione pesa sui bilanci delle famiglie, i marchi devono riflettere attentamente su come ingaggiano i consumatori in un contesto molto più orientato al valore.

Le persone valutano brand e prodotti in base a diversi indicatori di valore e secondo una recente ricerca di REVEL8, nove su dieci di questi indicatori non hanno nulla a che vedere col risparmio di denaro. Sia chiaro, per le persone resta fondamentale essere convinti di star facendo un buon affare ma il prezzo è solo una delle variabili. Per la marca occorre concentrarsi su ciò che essa può risolvere in modo univoco per i consumatori, ciò che si è in grado di far accadere, sia esso tangibile o emotivo.

Risolvere problemi è uno dei modi principali per aggiungere valore alla marca, un caso per tutti Amazon che consente di bypassare la ricerca fisica e il viaggio da/per il negozio per assicurarsi un bene qualunque in un lasso di tempo sempre più breve. Un altro modo di successo per aumentare il valore del marchio è quello di aiutare i consumatori a raggiungere lo stato emotivo che desiderano, offrendosi come una sorta di specchio magico in grado di riflettere la fantasia delle persone cui il marchio si rivolge, tipico dei premium e luxury brand, anche se il one/second/suite di H&M dimostra chiaramente che non si tratta di un’esclusiva di categoria.

I vincoli di budget non riducono le aspirazioni emotive: le persone non cercano solo value for money ma, come scrive nel suo articolo di questo mese Stephanie Ouyoumjian, ‘value for life’, un valore che sale alla ribalta nel momento attuale di crisi del costo della vita. La resilienza dei brand si misurerà secondo Ouyoumjian nel valore che riusciranno a comunicare alle persone in tempi difficili per mostrare la loro effettiva empatia.

La crisi, i problemi che abbiamo di fronte, impongono di ottenere di più con meno e rischiano inevitabilmente di alimentare le conversazioni sull’efficienza. Ma l’efficacia della comunicazione ha un’anatomia più complessa in cui entità degli investimenti e qualità creativa spiccano per rilevanza. Per un approfondimento sul tema vi rimandiamo alla versione pubblica del report pubblicato da WARC che trovate qui: https://lp.warc.com/anatomy-of-effectiveness

Buona lettura e buona estate!

Centro Studi UNA