Il mercato che cambia
Una rubrica a cura del Centro Studi UNA
Ti è piaciuta questa edizione? Facci sapere cosa ne pensi!
Iscriviti alla nostra newsletter per non perderti le prossime uscite!
STORIA PARADOSSALE DELLE AGENZIE CHE NON (SI) SAPEVANO COMUNICARE
In un contesto macroeconomico mondiale molto incerto, caratterizzato da un livello di inflazione che non si vedeva da decenni e da una crisi energetica preoccupante che ci porterà a rinunce coatte, anche il mercato del lavoro sta soffrendo.
La sofferenza non è tanto dovuta a un rallentamento strutturale (il tasso di disoccupazione dall’ultimo report della Banca d’Italia sta ancora diminuendo), quanto a un cambio di paradigma e di aspettative che sta generando un disallineamento tra domanda e offerta.
La genesi di questo cambiamento, come immaginabile, è da ricercare nel 2020, quando la pandemia ha costretto tutti a cambiare modo di lavorare, luogo di lavoro e anche priorità.
Oggi nel Q4 del 2022, non è più una questione di smart working, ma è un tema più grande e profondo che richiede ripensamenti. Aspetti come il work-life balance, la sistematizzazione di percorsi di crescita più definiti e la formazione non sono più rimandabili. L’industry della comunicazione non è esonerata da questa sfida e sembra, anzi, avere anche criticità peculiari oltre che paradossali.
La ricerca condotta da WFA (World Federation of Advertisers) insieme a MediaSense si è posta l’obiettivo di capire che cosa stia succedendo, quali siano le esigenze delle agenzie (media e creative) e quali quelle dei lavoratori, cercando di fornire stimoli e riflessioni, affinché ci sia un nuovo incontro tra le parti.
L’attuale fotografia ritrae un mercato nel quale le agenzie cercano talenti, ma fanno molto fatica sia a trovarne sia a trattenerli. L’85% dichiara di essere “understaffed” e alla ricerca di personale qualificato, per via del fatto che l’offerta sembra non essere più attrattiva in quanto mancherebbero chiarezza e visione soprattutto in ambito HR (percorso di carriera, la formazione e non ultimo, le prospettive economiche).
Il fascino che una volta avevano le agenzie di comunicazione oggi è esercitato dalle tech company (Amazon, Google… per citare le più note e scontate), che invece fanno incetta di talenti, grazie a molti fattori, tra cui il prestigio, la notorietà, la visione, ma anche banalmente la capacità di remunerare maggiormente.
Quello che è certamente necessario capire (lato agenzie) è come colmare concretamente queste lacune di mercato, partendo dal presupposto che la generazione dei nuovi lavoratori è diversa da quelle precedenti, non solo anagraficamente, ma ideologicamente.
Partire dall’ascolto sembra essere un primo passo importante per comprendere i nuovi interlocutori. La gen Z, spesso etichettata come una generazione di persone non in grado di sacrificarsi e che vuole lavorare poco, è in realtà una generazione che ha nuovi ideali, nuove regole di ingaggio e nuove ambizioni, non tutte necessariamente “workaholic”, come era la gen X (che oggi riveste le posizioni apicali).
C’è un altro importante aspetto, che emerge nella ricerca WFA, legato alla fase di assunzione, in cui spesso manca un percorso di carriera chiaro per il potenziale candidato. Il più delle volte, l’azienda non lo sa quale potrebbe essere. Bisogna sradicare il sentito comune che si possa crescere all’interno delle organizzazioni solo per anzianità, e meno per merito.
Le agenzie, lato loro, hanno la piena consapevolezza che stanno facendo poco per rendersi più interessanti al mercato. Una strada potrebbe essere quella di aumentare e migliorare le collaborazioni con le università e i master, puntando non solo ad un maggior coinvolgimento, ma anche sul fare cultura professionale.
Questo aspetto di saper comunicare poco e forse male è veramente il paradosso di questa nostra industry. È vitale, per la buona sopravvivenza del settore, che le nuove generazioni si avvicinino e capiscano meglio le nuove sfide del mercato e la sua complessità. Bisogna sdoganare il luogo comune che le agenzie di comunicazione eroghino solo la pubblicità, nelle sue varie accezioni, perché se era vero una volta, non è più attuale oggi.
Le agenzie non cercano più solo account, planner e creativi, ma anche ingegneri, statistici e data analyst, dal momento in cui le agenzie, soprattutto media, stanno diventando importanti consulenti e business partner, a livello di grandi nomi come Accenture, capaci di affiancare le aziende nella crescita dei risultati di business. E’ forse il tempo di dirlo a gran voce, non solo ai giovani talenti, ma anche agli investitori.
Centro Studi UNA