Il mercato che cambia

Una rubrica a cura del Centro Studi UNA


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La rivoluzione dell’equità: una lettura della pop culture alla ricerca della prossima big thing.

Analizzando i trend per il 2023 nel Centro Studi abbiamo molto discusso circa l’apparente ombra lunga gettata dal ruolo delle community sulla pop culture. È stato un vero piacere a inizio gennaio leggere l’articolo di Tom Beckmane la sua lucida analisi su cosa ci stesse raccontando la cultura popolare del momento e come questo possa rappresentare un’occasione di riflessione per ripensare la rilevanza delle azioni (e comunicazioni) dei brand per cui lavoriamo.

La cultura pop come il cinema, l’arte, la moda e il cibo, sono espressione del loro tempo e diventano mainstream proprio perché le persone ci si relazionano.

In particolare, come la ricerca sociologica ha ampiamente documentato, i cattivi della cultura popolare in un dato momento storico dicono molto delle ansie e delle paure della società.

E capire in che direzione si sta polarizzando il sentire collettivo può aiutare le marche a riorientare i propri messaggi in modo più significativo.

Ripercorrendo la crisi economica del 2009, Beckman mette in relazione la causa dell’ultima recessione -la cupidigia e la scorrettezza delle istituzioni finanziarie- con la crisi reputazionale dei simboli del capitalismo -le grandi corporation- e la reazione globale da parte dei consumatori che ha portato alla nascita dei concetti di stakeholder economy, CSR, purpose: la nostra attuale realtà.

Alle soglie dell’attuale recessione, i segni del momento trasversalmente a arte, spettacolo, tecnologia, cibo, indicano un nuovo cattivo: i ricchi.

La pandemia ha accelerato molte delle tendenze già in essere: la digitalizzazione è sotto gli occhi di tutti, il divario tra chi ha e chi no forse un po’ meno. Eppure, economisti e sociologi sono concordi nel ritenere che l’esito più significativo della pandemia sarà un peggioramento delle disuguaglianze.

Anche in Italia, nonostante la ripresa economica, la disuguaglianza del reddito è aumentata del 7%: il 20% più ricco della popolazione guadagna oltre 6 volte quanto guadagna il 20% più povero e il nostro Paese risulta penultimo in Europa in termini di riduzione delle disuguaglianze, davanti solo alla Bulgaria.

I cattivi del momento non sono dunque casuali nemmeno questa volta. Improvvisamente, in questa recessione i ricchi non sono più le icone aspirazionali dei nostri sogni, ma i cattivi nei nostri film. Per il loro distacco dalla realtà, per il non essere toccati da tempi difficili. Il divario che cresce non getta tutti nella povertà evidentemente, ma riduce progressivamente il numero di persone per le quali è stato disegnato e proposto il sogno di una vita migliore. La nuova post borghesia ha bisogno di un sogno nuovo, più rilevante perché più realistico.

Centro Studi UNA